Come misurare l'innovazione nella quarta rivoluzione industriale?
Presentiamo un articolo, tratto dalla rivista Qualità di AICQ, che approfondisce il concetto di innovazione nell'industria 4.0 e suggerisce un metodo per misurare l'innovazione stessa.
Come ogni grande cambiamento epocale che ha contraddistinto la storia, anche la quarta rivoluzione industriale, nota ai più come Industria 4.0, affonda le proprie radici non solo nell’introduzione di “nuove” tecnologie, bensì anche, e soprattutto, in un radicale cambiamento nel concetto di “impresa”; e quando si parla di cambiamento, ovviamente non si può non parlare di “innovazione”.
Ma che cos’è davvero, oggi, l’innovazione?
O meglio, che cos’è l’innovazione oggi per quella piccola e media impresa che ogni giorno è chiamata a far fronte ad ogni genere di sfida per sostenere il tessuto produttivo del paese?
Ogni giorno, su qualche rivista, sito web o social si legge in merito alla definizione di “innovazione”; questa parola la vediamo analizzata, delineata, qualche volta anche sviscerata, ma raramente la vediamo calata nella realtà della PMI; raramente ci viene mostrato un modo per capire se, da astratto, il termine “innovazione” può diventare concreto e, perché no, anche misurabile.
Eppure, ciò è fondamentale, essenziale per ogni impresa che oggi, più che mai, deve fare i conti con un nuovo modo di concepire il proprio business, basato su un organismo “azienda” che deve essere dinamico, flessibile e fortemente ricettivo, cioè in una parola “innovativo”. La creatività, la produzione di idee nuove è la linfa vitale di ogni realtà imprenditoriale, ma da sola non rappresenta “innovazione”, perché solo quando queste idee creano valore si trasformano allora in innovazione: le buone idee non servono a niente se non vengono realizzate in un contesto che sia atto a recepirle, cioè in un contesto che sia ricettivo all’innovazione.
Sorge a questo punto una domanda: “Perché l’innovazione, oggi, in piena quarta rivoluzione industriale, richiede tanta attenzione?”
Con questo breve articolo si cercherà di fornire risposta a questa domanda, ma soprattutto di dare, oltre ad un breve excursus sul concetto di innovazione, qualche suggerimento su quale possa essere un “nuovo” modo di concepire l’innovazione e di come essa possa essere “quantificata” tramite indicatori da monitorare.
Perché parlare di innovazione oggi?
Tutti i cambiamenti operati dall’uomo derivano dalla tipica tendenza umana a cercare il nuovo, il diverso: il desiderio di sperimentare è una caratteristica umana fondamentale.
Da sempre l’innovazione è una condizione essenziale del progresso economico e sociale. In particolare, in questo periodo di forte accelerazione, cambiamento e discontinuità con il passato, l’innovazione permette di sostenere la qualità del nostro stile di vita, di migliorare i processi organizzativi delle nostre imprese, di introdurre nuovi prodotti sul mercato che migliorano la qualità delle nostre vite, di rispondere in maniera adattiva al costante mutamento di modelli produttivi, assetti demografici, condizioni ambientali.
Nel mondo delle imprese, negli ultimi anni, i cambiamenti avvengono ad un ritmo sempre più sostenuto, non solo guidati dai trend tecnologici ma anche dalla sempre più imprescindibile necessità di dover far fronte a temi di ottimizzazione, efficienza e velocità.
In un contesto in così continua evoluzione, si può ottenere un vantaggio strategico solamente se si affronta il cambiamento da leader anziché da seguaci, e l’unico modo attraverso il quale le aziende possono diventare leader è l’innovazione.
Conferma di ciò la possiamo trovare in decine e decine di studi e articoli che trattano il tema dell’innovazione; uno tra tutti il recente studio “L’ecosistema per l’innovazione: quali strade per la crescita delle imprese e del Paese”, condotto da The European House – Ambrosetti in occasione del Technology Forum 2017.
In tale report si evince molto chiaramente che le realtà che meglio hanno saputo posizionarsi in termini di competitività di medio/lungo periodo e che hanno mostrato maggiore resilienza alle crisi contingenti, sono state quelle che hanno capito l’importanza del circolo virtuoso innovazione-produttività-crescita. Tale circolo virtuoso, basato sull’innovazione, si è poi concretizzato, ad esempio, tramite una relazione positiva tra investimenti in R&S, performance aziendali (in termini di fatturato) ed occupazione, come mostrato in Fig.1 e Fig.2.
Dai pochi dati sopra riportati, che mostrano come, nel periodo 2012-2015, a fronte di una leggera crescita del fatturato del comparto manifatturiero (+2%) si sia assistito ad una crescita del fatturato aggregato delle imprese manifatturiere top spender in R&S di gran lunga superiore (+16%), si ha chiara conferma del fatto che investire in innovazione è un volano per la crescita delle imprese ed il vero strumento per entrare da protagonisti nello scenario di Industria 4.0.
Quindi, parlare oggi di innovazione è molto importante, ma ancora di più lo è il calare il concetto di innovazione nello scenario di riferimento della PMI, che è obbligata a fare i conti ogni giorno con situazioni contingenti che non permettono di distrarre risorse per mere elucubrazioni. Per questo motivo, sempre più gli addetti ai lavori stanno cercando di “tradurre” il concetto di innovazione in qualcosa di “tangibile” e “misurabile”.
La definizione di innovazione
Tutte le aziende devono essere innovative, prima di ogni altra cosa, per poter vivere da protagoniste il processo di trasformazione in atto (la quarta rivoluzione industriale) e la stessa innovazione può considerarsi, in quest’ottica, come la linfa vitale dei futuri flussi di entrate.
Tuttavia, anche se la parola “innovazione” è usata in centinaia di contesti, spesso anche non prettamente calzanti, gran parte delle imprese italiane, in particolare le PMI (piccole e medie imprese), faticano a comprendere che cosa sia l’innovazione e come la si possa (debba) gestire; anche se per farlo sarebbe sufficiente comprendere che qualsiasi impresa, in qualunque ambito industriale, può essere innovativa, perché l’innovazione è un processo e non un fine ultimo.
L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel Manuale di Oslo, noto anche come The Measurement of Scientific and Technological Activities - Proposed Guidelines for Collecting and Interpreting Technological Innovation Data, definisce l'innovazione come:
implementazione di un prodotto (bene o servizio) nuovo o significativamente migliorato, oppure un processo, un nuovo metodo di marketing, o altrimenti un nuovo metodo organizzativo di business, luogo di lavoro o relazioni esterne.
— Manuale di Oslo
Una definizione di “innovazione" analoga è quella riportata nella norma CEN/TS 16555-1, punto 3.1:
realizzazione di un prodotto (bene o servizio) o attuazione di un processo, di un metodo di marketing o di un metodo organizzativo nelle prassi di business, nel luogo di lavoro o nelle relazioni esterne, nuovo o significativamente migliorato.
− Norma CEN/TS 16555-1
Le attività che si possono classificare come innovative variano molto, per loro natura, da azienda ad azienda. Alcune imprese sono impegnate in progetti innovativi precisi che comportano un rilevante investimento (in termini di tempo e risorse), come ad esempio lo sviluppo e il lancio di un nuovo prodotto, mentre altre si focalizzano su piccoli ma continui miglioramenti sia sui prodotti, ma soprattutto sui processi e sulle operazioni.
In entrambi i casi si tratta di aziende innovative: si parla di innovazione sia nel caso dell’implementazione di una singola trasformazione significativa, sia nel caso di una serie di modifiche minori e progressive che vanno a costituire, considerate nel loro insieme, una miglioria significativa.
Proprio da ciò quindi si comprende come l’essere “innovativi” sia la base per avviare quel processo di adeguamento che si sta delineando sotto il nome di “Industria 4.0”, che richiede proprio una trasformazione progressiva e continuativa, accompagnata, in molti casi anche da investimenti rilevanti.
L'OCSE e la Commissione Europea, sempre nel Manuale di Oslo, hanno classificato le tipologie di innovazione dividendo la fonte dell’innovazione in due gruppi: coloro che svolgono attività di ricerca e sviluppo (gruppo R&S) e coloro che non le svolgono (gruppo non R&S).
Lo scopo fondamentale di questa classificazione è dimostrare proprio che i processi innovativi che avvengono all'interno delle aziende non devono essere necessariamente sviluppati e/o implementati secondo un approccio strutturato di R&S per essere considerati “innovazione”.
Il messaggio principale da cogliersi è che l’innovazione non è limitata alle grandi aziende, che possono permettersi di assumere manager dedicati o altro personale altamente qualificato o specializzato. Anche, e soprattutto, le piccole imprese offrono un terreno fertile per l’innovazione (non dimentichiamo che molti dei prodotti chiave del secolo scorso sono stati lanciati proprio da piccole imprese e questa categoria continua a produrre innovazioni radicali), proprio grazie ad una maggiore flessibilità.
L’innovazione può variare quanto a campo di applicazione, tempi di realizzazione, impatto organizzativo e societario. Qualsiasi tipo di classificazione che la riguardi comprende delle aree di duplicazione, ossia dei punti in cui le linee che dividono una categoria dall’altra si sovrappongono.
Che si tratti di aziende manifatturiere o di servizio, può cambiare l'oggetto dell'innovazione (nuovi prodotti o nuovi servizi, nuovi brevetti o nuovi processi o anche semplicemente la generazione di nuovi bisogni, nuovi modi d'uso di prodotti e servizi già consolidati, ecc.), ma non la centralità dell'innovazione stessa che si traduce in obiettivi concreti da conseguire, quali: ridurre i costi, migliorare continuamente la qualità dei prodotti e del servizio, distinguersi dalla concorrenza per conquistare nuovi clienti, fidelizzare quelli esistenti e preservare il benessere dei propri dipendenti, per citarne solo alcuni tra i più rilevanti.
Tutto ciò ci fa quindi comprendere bene come nessuna realtà imprenditoriale possa prescindere dall’innovare; perché “innovare” significa, in estrema sintesi, crescere, svilupparsi e affermarsi.
Se si vogliono cogliere le opportunità della quarta rivoluzione industriale e limitare i rischi che essa presenta, bisogna dare per assodato che “innovare” non è un esercizio per dimostrare di essere i più bravi, ma un’impostazione culturale che, a partire dall’imprenditore e dalla leadership, deve essere diffusa a tutti i livelli dell’organizzazione e, quindi, non può essere un processo «randomico», ma deve essere accuratamente pianificato ed organizzato, nei tempi e nei modi, esattamente come in un ciclo PDCA.
Infine, altro mito da sfatare, spesso legato al concetto di innovazione, è quello di cambiamento “radicale” o “epocale”. Se un importante cambiamento in ambito aziendale può far parte del piano di “innovazione”, esso però non ne rappresenta l’essenza; l’essenza dell’innovazione concreta ed efficace è un modus operandi giornaliero, un approccio continuativo e strutturato, fatto da piccoli passi nella giusta direzione e non da grandi salti nel buio.
La misura dell'innovazione e del rendimento tecnologico aziendale
A questo punto sorge la necessità di capire come “misurare” l’innovazione.
Alcuni metodi esistenti fanno riferimento al concetto di “maturità tecnologica”, come il TRL (Technology Readiness Level), che misura il grado di maturità tecnologica, su una scala di valori da 1 a 9, come definita dalla Commissione Europea nel Programma Horizon 2020 – Work Programme 2018-2020 General Annexes – Extract from Part 19 – Commission Decision C (2017)7124.
La metodologia TRL, sviluppata originariamente dalla NASA, ha subito modifiche fino al 2013 quando la ISO ha pubblicato la norma “ISO 16290:2013 Space systems - Definition of the Technology Readiness Levels (TRLs) and their criteria of assessment”, per definire i livelli di maturità tecnologica ed i relativi criteri di valutazione; è oggi utilizzata anche dal Dipartimento della Difesa americano e dall'Agenzia Spaziale Europea.
Tale metodo è presente anche nell’ultimo Decreto Direttoriale del MISE, del 29 gennaio 2018, relativo alla “Costituzione dei Centri di competenza ad alta specializzazione”, in cui si fa riferimento al livello di maturità tecnologica.
Il concetto di “misurazione” di fattori tangibili ed intangibili delle imprese è uno dei focus principali dell’innovativo modello di rating messo a punto da Intesa Sanpaolo, anche grazie alla pluriennale collaborazione con Confindustria Piccola Industria.
Insieme alla consueta valutazione economico finanziaria, il nuovo modello, validato dalla BCE dopo un lungo percorso di elaborazione, dà valore anche ai fattori qualitativi intangibili dell’impresa, quali i marchi, i brevetti, le certificazioni di qualità e ambientali, le attività di ricerca e sviluppo, d’innovazione e digitalizzazione, i progetti di sviluppo e di posizionamento competitivo, la gestione del rischio d’impresa, la proprietà e il management. Anche l’appartenenza a una filiera è un valore intangibile di cui il modello di rating tiene conto: il rating del cosiddetto “capo filiera” è infatti esteso alla catena dei fornitori, che possono così condividerne il merito creditizio. Le prime sperimentazioni hanno già dimostrato i vantaggi, in termini di facilitazione di accesso al credito e condizioni economiche più favorevoli.
− Comunicato stampa “INDUSTRIA 4.0: CONFINDUSTRIA E INTESA SANPAOLO PRESENTANO L’ACCORDO “PROGETTARE IL FUTURO”, Torino, 28 novembre 2017
Si può facilmente comprendere che, per misurare l’innovazione con efficacia, si deve misurare la capacità di un’azienda di “produrre” innovazione, con un principio analogo a quello di un motore che “bruciando” carburante produce forza motrice.
Se per un’azienda il carburante è rappresentato dalle proprie risorse umane, dal proprio know how, dai propri strumenti tecnologici, allora quantificarne la capacità di produrre innovazione vorrà dire determinarne un “indice di rendimento” in grado di esprimere in numeri l’efficienza di un’entità che produce un risultato ottimizzando le proprie risorse iniziali. A parità di innovazione prodotta, saranno quindi più innovative quelle entità che l’avranno prodotta con minori investimenti.
Questo concetto, espresso in questi giorni in cui vengono resi noti i risultati del primo anno di applicazione del Piano Industria 4.0 dal MiSE, sembra in controtendenza. Eppure, se valutiamo con attenzione il significato intrinseco della rivoluzione industriale in atto, ci accorgiamo che essa non ci chiede obbligatoriamente investimenti enormi, ma investimenti mirati e oculati, in linea con strategie ponderate di crescita e competitività. L’azienda che è in grado di applicare i paradigmi dell’Industria 4.0 con investimenti adeguati, sarà certamente più in grado di ottenere da questi il massimo beneficio, ed avrà pertanto un indice di rendimento in innovazione più alto.
Quanto appena espresso è alla base della metodologia di valutazione dell’innovazione nota come RTA, che nasce in seno all’Associazione Italiana per la Cultura del Trasferimento Tecnologico (AICTT) e trova validazione scientifica da parte del Centro di Ricerca per l’Innovazione ed il Trasferimento Tecnologico (CeRITT) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
L’indice RTA (Rendimento Tecnologico Aziendale) fa riferimento anche ai concetti presenti nelle varie norme UNI CEN sull’Innovation Management, nello specifico:
- UNI CEN/TS 16555-1:2013 “Gestione dell'innovazione - Parte 1: Sistema di gestione dell'innovazione”
- UNI CEN/TS 16555-2:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 2: Gestione dell'intelligence strategica”
- UNI CEN/TS 16555-3:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 3: Orientamento all'innovazione”
- UNI CEN/TS 16555-4:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 4: Gestione della proprietà intellettuale”
- UNI CEN/TS 16555-5:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 5: Gestione della collaborazione”
- UNI CEN/TS 16555-6:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 6: Gestione della creatività”
- UNI CEN/TS 16665-7:2016 “Gestione dell'innovazione - Parte 7: Valutazione della gestione dell’innovazione”
La metodologia RTA fornisce un quadro della sostenibilità dell’innovazione da parte dell’azienda oggetto dell’indagine, andando ad investigare l’organizzazione secondo quattro direttrici fondamentali:
- Economia della Conoscenza: capacità di convertire l'innovazione in risultati economici;
- Ingegneria della Conoscenza: capacità di gestire in maniera virtuosa il capitale intellettuale aziendale, rigenerandolo in un ciclo continuo e permanente;
- Finanza della Conoscenza: capacità di convertire il capitale intellettuale in una leva finanziaria;
- Organizzazione della Conoscenza: capacità della cultura organizzativa di raggiungere e mantenere l'innovazione.
Per ciascuna delle quattro direttrici, la misura del rendimento tecnologico passa attraverso la valorizzazione di una griglia di indicatori chiave di prestazione (KPI) oggettivi e verificabili. Valorizzati tutti gli indicatori, si ottiene così il posizionamento dell'azienda in termini di rendimento tecnologico e se ne individuano le lacune emergenti e le relative azioni correttive.
A differenza di molte altre metodologie proposte in letteratura il metodo RTA ha il vantaggio di fornire un indicatore dell’innovazione che non è una grandezza statica, bensì dinamica, che misura la sostenibilità dell'innovazione nello specifico contesto aziendale.
Questa sua peculiarità lo rende quindi particolarmente adatto per le imprese che vogliono intraprendere azioni efficaci di trasformazione ed adeguamento ad Industria 4.0, perché consente loro di poter capire come scegliere le azioni più adatte anche in rapporto alle risorse ed investimenti disponibili.
L’indice RTA è inoltre utile all’organizzazione per mostrare le proprie potenzialità in chiave oggettiva, a soggetti esterni, quali enti di finanziamento, investitori, partners, ecc.
Conclusioni
Un proverbio veritiero afferma: “ciò che viene misurato viene fatto”. Nel campo della innovazione, benché di estrema difficoltà, questo proverbio risulta ancora più veritiero e necessario.
Senza disporre di strumenti atti a misurare l’innovazione si rischia di percorrere anche molta strada ma su strade buie di notte e a fari spenti.
Una volta definita tale priorità, resta da chiarire meglio come e perché misurare l’innovazione.
Come misurare l'innovazione?
Uno dei motivi per cui solo circa 1/3 di tutte le aziende Fortune 1000 hanno parametri di innovazione formale è perché questa semplice domanda non ha una risposta semplice.
Le metriche possono essere importanti leve dell'innovazione sia per guidare il comportamento aziendale, che per valutare i risultati di iniziative specifiche. Aziende come 3M e Google hanno avuto per anni parametri di innovazione: il più notevole è che il 10% del tempo dedicato ai dipendenti è dedicato alla sperimentazione di nuove opportunità. Alcune società molto innovative hanno cercato di imporre che il 35% delle loro metriche dovesse provenire da prodotti introdotti negli ultimi quattro anni.
Definire le giuste metriche per l’azienda può essere complicato. Generalmente non esiste una risposta univoca e concordare sul misurando della innovazione, ossia sull’oggetto di misura, può sembrare più arte che scienza.
Il cuore del problema è che l'ambiente competitivo di oggi è radicalmente diverso dall'ambiente industriale in cui sono nate le metriche dell'innovazione tradizionale. Poiché la maggior parte dei programmi di metriche iniziano con benchmark di aziende consolidate che hanno avuto successo con nuovi prodotti (come 3M o Google), le metriche tendono a tornare alle tradizionali misure di R & S o agli investimenti e all'efficacia della tecnologia. Tra le Fortune 1000 che possiedono metriche di innovazione, ad esempio, le metriche più diffuse includono:
- il numero di brevetti depositati nell'ultimo anno;
- il totale personale o budget di R & S come percentuale delle vendite;
- il numero di progetti attivi;
- il numero di idee presentate dai dipendenti;
- la percentuale di vendite da prodotti introdotti negli ultimi X anni.
Mentre alcuni di questi parametri sono preziosi per indirizzare gli investimenti e per la valutazione dei risultati, tuttavia riguardo alla innovazione forniscono una visione limitata. Nell'ambiente odierno in cui "l'open innovation" (fonte di idee e tecnologia esterna all'azienda) può creare differenziazione e vantaggio competitivo, ad esempio, alcune di queste metriche inibiscono effettivamente l'innovazione strategica. E in un ambiente in cui innovazione dirompente e cannibalizzazione devono essere abbracciate come strategia di base, sono necessari tipi fondamentalmente nuovi di comportamenti, e successivamente nuove strutture e metriche correlate per guidare tali comportamenti.
Un'altra sfida affrontata dai leader aziendali interessati a definire le metriche è il "sovraccarico di metriche". Un articolo della Business Week ha recentemente rilevato che molte aziende hanno troppe metriche e cercano di misurare tutto con criteri diversi
. Questo sovraccarico fa sì che i dirigenti vedano le loro metriche come inadatte a inquadrare "il nocciolo della questione" e sono insoddisfatti del loro attuale approccio alla misurazione della innovazione. Troppe metriche portano ad attività eccessive che forniscono scarso valore e spesso innescano addirittura comportamenti conflittuali.
Poiché l'innovazione è ormai un requisito critico ampiamente riconosciuto praticamente per tutte le aziende di tutti i settori, l'imperativo è stabilire una nuova generazione di metriche che vadano oltre le misure convenzionali e che siano in grado:
- di creare una cultura organizzativa che supporti e guidi l'innovazione strategica;
- di stabilire una capacità critica adattata al panorama competitivo in continua evoluzione;
- di valutare gli sforzi di innovazione per garantire sia il ritorno sull'investimento sia per sostenere i cicli di feedback dell'apprendimento e del miglioramento aziendale;
- di guidare una crescita redditizia.
Le migliori soluzioni creano semplicità dalla complessità. Supponendo che l'innovazione di successo risulti dalle sinergie tra fattori di successo complementari, è importante affrontarli per:
- creare una "famiglia di metriche" per garantire un portafoglio di misure completo;
- includere sia le "metriche di input" che le "metriche di output" per garantire misure che guidino l'allocazione delle risorse e la creazione di capacità, nonché il ritorno sull'investimento.
Una "famiglia di metriche" garantisce un portafoglio di misure che coprono i più importanti fattori di innovazione. Le seguenti tre categorie di metriche sono quelle da considerare per qualsiasi portafoglio di metriche:
- 1) Return on Investment Metrics
- Le metriche del ROI riguardano due misure: investimenti in risorse e rendimenti finanziari. Le metriche del ROI offrono una disciplina fiscale di gestione dell'innovazione e aiutano a giustificare e riconoscere il valore delle iniziative strategiche, dei programmi e dell'investimento complessivo nell'innovazione.
- 2) Metriche di capacità organizzativa
- Le metriche relative alle capacità organizzative si concentrano sull'infrastruttura e sul processo di innovazione. Le misure di capacità forniscono attenzione a iniziative volte a costruire approcci ripetibili e sostenibili all'invenzione e alla reinvenzione.
- 3) Metriche di leadership
- Le metriche sulla leadership riguardano i comportamenti che dirigenti e dirigenti devono mostrare per supportare una cultura dell'innovazione all'interno dell'organizzazione, compreso il supporto di specifiche iniziative di crescita.
All'interno di ciascuna di queste categorie, ci sono "metriche di input" e "metriche di output". Le metriche di input sono gli investimenti, le risorse e i comportamenti necessari per guidare i risultati. Le metriche di output rappresentano i risultati desiderati per la categoria metrica.
Procter & Gamble, ad esempio, utilizza una metrica di input della capacità organizzativa incentrata su "la percentuale di approvvigionamento esterno di idee e tecnologia" come un modo per guidare la sua strategia Connect and Develop per l'innovazione aperta. Nel 2000, il 10% della R & S dell'azienda è stato esternalizzato - oggi, il 50% di tutte le idee e la tecnologia provengono dall'esterno.
In conclusione, l’innovazione è ormai un asset strategico per le imprese ed il mercato e per tutta la filiera di stakeholders coinvolti, ma la sua efficacia ed efficienza può essere determinata solo attraverso la disponibilità di un sistema che ne consenta la sua misurazione.
La natura pluridimensionale, vincolata e spesso astratta della innovazione, rende non banale il processo di misura che, come target ideale di riferimento cui auspicare, vede nel suo risultato, così come ormai codificato per le grandezze fisiche, una triplice informazione costituita da un numero, una unità di misura ed una fascia di incertezza nota.
La complessità di tale processo di misura della innovazione è, però, compensata da una ampia disponibilità di metodologie e strumenti che lo scenario attuale offre.
La valenza dell’impiego continuo di tali metriche per l’innovazione trova rilevanza a scale diverse, dalla singola impresa che ne trae giovamento in termini di autovalutazione, dal territorio nel quale le imprese operano che vede un vantaggio indiretto di crescita e sviluppo, dal sistema degli attori locali, come gli istituti di credito ad esempio, che ne traggono vantaggi in termini sia di indirizzamento degli investimenti, come visto, e sia di garanzia nella erogazione del credito alla innovazione, fino ad arrivare alla scala del sistema-paese nel quale tale valenza si esprime in logica di politica industriale.
Bibliografia
- UNI CEN/TS 16555-1:2013 “Gestione dell'innovazione - Parte 1: Sistema di gestione dell'innovazione”
- UNI CEN/TS 16555-2:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 2: Gestione dell'intelligence strategica”
- UNI CEN/TS 16555-3:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 3: Orientamento all'innovazione”
- UNI CEN/TS 16555-4:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 4: Gestione della proprietà intellettuale”
- UNI CEN/TS 16555-5:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 5: Gestione della collaborazione”
- UNI CEN/TS 16555-6:2015 “Gestione dell'innovazione - Parte 6: Gestione della creatività”
- UNI CEN/TS 16665-7:2016 “Gestione dell'innovazione - Parte 7: Valutazione della gestione dell’innovazione”
- ISO 16290:2013 Space systems -- Definition of the Technology Readiness Levels (TRLs) and their criteria of assessment, 11-2013
- OECD/Eurostat/EU (1997); “The Measurement of Scientific and Technological Activities - Proposed Guidelines for Collecting and Interpreting Technological Innovation Data: Oslo Manual” - OECD Publishing
- De Falco Stefano; Di Marino Fabio; Tappi Antonio “Lo standard AICTT-RTA per la misura della capacità innovativa d'impresa” - Franco Angeli Editore, 2015
- The European House- Ambrosetti ; “L’ecosistema per l’innovazione: quali strade perla crescita delleimprese e del Paese” – Technology Forum 2017
- Iubatti Matteo; Davide Marseglia; Dovesi Loretta; “Diagnosi del Livello di Innovazione e del Rendimento Tecnologico Aziendale” - Archita Engineering s.r.l. 2017
- Programma Horizon 2020 – Work Programme 2018-2020 General Annexes – Extract from Part 19 – Commission Decision C (2017)7124
- Comunicato stampa “INDUSTRIA 4.0: CONFINDUSTRIA E INTESA SANPAOLO PRESENTANO L’ACCORDO “PROGETTARE IL FUTURO”, Torino, 28 novembre 2017
Gli autori
Oliviero Casale
Manager di Rete di Imprese Certificato, Componente di Giunta AICQ con delega su INDUSTRIA 4.0, Componente Comitato Tecnico Scientifico del Laboratorio “TURISMO 4.0” del Centro "Raffaele d'Ambrosio" LUPT dell’Università Federico II di Napoli, Vice Presidente CTS di ASSINRETE - Associazione Italiana Professionisti delle Reti d'Imprese, Segretario Generale dell’Osservatorio Imprese e Professioni 4.0 di CONFASSOCIAZIONI, Network Manager di UNIPROFESSIONI.
Matteo Iubatti
Ingegnere delle Telecomunicazioni V.O., prima ricercatore a contratto presso DEIS e ARCES dell’Università di Bologna (specializzazione in sistemi satellitari presso CNES di Tolosa), poi, dal 2008, consulente in ambito di innovazione e trasferimento tecnologico. Dal 2013 amministratore delegato della società Archita Engineering Srl, membro di AICQ Emilia Romagna, iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Bologna, membro della Commissione “Industria 4.0”.
Stefano de Falco
E’ Direttore IRGIT – Istituto di Ricerca sulla Geografia della Innovazione Territoriale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, dove ne è anche responsabile dell’Ufficio di trasferimento Tecnologico e dove insegna Geografia della Innovazione, ed è Presidente della AICTT – Associazione Italiana Cultura per il Trasferimento Tecnologico e Coordinatore della Commissione Innovazione dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Napoli.
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